Tutto avrei immaginato
nella mia carriera tranne che un giorno avrei intervistato il mio direttore.
Perché? Perché non si fa, semplicemente. Non è nelle regole del gioco. Ma
quando si ha un capo come il mio, le regole… beh, sono poche e tutte messe lì apposta per
essere infrante. Del resto l’occasione era unica: raccontare, per una volta,
lui, il mio capo Alfonso Signorini, sotto una luce diversa da quella che siete
abituati a conoscere. Raccontare la persona che noi vediamo ogni giorno,
dall’altra parte delle pagine patinate di “Chi”. Quella con cui ognuno di noi,
qui dentro, ha condiviso gioie e dolori, musi lunghi e risate, scherzi e
litigate. Quella persona che, anche noi, credevamo conoscere.
Ma, giusto per
confermarci che con lui nulla è sicuro Alfonso ha pensato bene di scrivere
un’autobiografia nella quale mette a nudo con un tale brutale sincerità, da
spiazzare anche con chi, come noi, pensava di conoscerlo, se non bene, almeno
abbastanza. E’ un libro spiazzante, anche
se molto divertente, perché stravolge completamente i parametri con cui
siamo abituati a giudicarlo. Ci sono si, i mille aneddoti sul mondo gossip, del
giornalismo, della televisione e della politica che costituiscono il suo mondo
professionale. Ma questa volta il personaggio pubblico Signorini lascia il
posto all’uomo, che racconta senza filtri né pudori, la sua storia privata, l’altra
faccia di sé. Una storia che, sorprendentemente, è tenuta insieme al filo rosso
di un amore che viene da lontano è non si e ancora interrotto.
INTERVISTA
Domanda. Chi conosce il Signorini pubblico inevitabilmente è portato a pensare
che il motore della tua vita e della carriera sia stato l’ambizione, il
desiderio di raggiungere la fama, il potere, la ricchezza. Dopo aver letto il
libro si intuisce invece che il motore di tutta la corsa è stato l’amore: l’amore
dei tuoi genitori che ti ha dato la forza di volare, l’amore che ti ha spinto
alle scelte più coraggiose. Che cos’è per te l’amore?
Risposta. Innanzitutto, vera la premessa. Io credo che l’ambizione sia una delle
peggiori che possano capitare nella vita di una persona, perché ti rovina,
distrugge le emozioni. Non è facile prenderne atto perché è molto subdola. Non è
una malattia manifesta, è una febbricola latente e quando ti prende, te la
tieni e ti consuma. Io non sono ambizioso, lo dico con grande sicurezza, e
questo lo considero una grande fortuna, perché mi ha sempre fatto fare, scelte
non condizionate da traguardi che dovevo raggiungere a tutti i costi. Intendiamoci,
ho sempre avuto degli obbiettivi in testa, ma ho sempre ragionato da solo per l’entusiasmo
che questi obbiettivi mi portavano.
Domanda. Quindi per amore.
Risposta. Si, esatto, per amore. Che cos’è l’amore? E un atteggiamento di grande
apertura nei confronti del prossimo e della vita. Che ti mette una disposizione
d’animo molto positiva nei confronti di chi ti è vicino. La posizione di chi ti
ascolta, ma non giudica. Di chi accoglie, pur conservando la legittima libertà
di critica.
Domanda. Questo concetto di amore è molto simile a quello che i tuoi genitori
hanno dato a tua sorella e a te. Loro sono il filo rosso che lega tutto il tuo
libro, tutta la tua vita, anche ora che non ci sono più.
Risposta. I miei genitori non hanno avuto consapevolezza della loro importanza. Vivevano,
amavano, si amavano e ci amavano. Ma nella loro meravigliosa scienza hanno
saputo dipingere un quadro bellissimo. Con grande spontaneità e naturalezza. Erano
persone semplici, ma nel senso più bello del termine. E la mia non è più un’idealizzazione,
è proprio la consapevolezza di avere due esempi di avere avuto due esempi di
grande trasparenza.
Domanda. Un amore solido, sempre presente, mai invadente.
Risposta. Oddio anche un po’ invadente. La mamma rompeva, eccome. Ma nelle scelte
importanti non sono mai stati invasivi. Anzi, quando non approvavano, e non
hanno approvato quasi niente, hanno sempre avuto il buon senso di farsi da parte
lasciandomi vivere.
Domanda. E questo ci porta al secondo mito legato al personaggio Signorini:
quello di essere un astuto calcolatore, un cinico che si muove a colpo sicuro,
abituato a navigare come uno squalo nelle acque agitate del potere. Eppure leggendo
questo libro si scopre che le scelte più importanti della tua vita sono andate
totalmente controcorrente. Hanno seguito la passione piuttosto che il calcolo.
Risposta. Esatto. Oppure la follia, o l’incoscienza.
Domanda. A cominciare dalla scelta dell’indirizzo di studi. Vieni da una
famiglia con ideali molto pratici, di quelle che sognavano un figlio ragioniere
con il posto fisso da impiegato. Tu invece hai scelto il liceo classico e la
facoltà di lettere.
Risposta. Una rottura evidentissima, perché il classico, nella mentalità
estremamente concreta di mio padre, era innanzitutto la scuola delle femmine. Lui
la pensava così e non si sa nemmeno perché. Anche la facoltà di lettere ai suoi
occhi era roba per femmine. Io, poi, ci ho messo, come sempre, del mio. Non ho
mai osato dire ai mie che volevo fare il giornalista. Dicevo loro che volevo
fare il giornalista. Dicevo loro che volevo fare il professore. Però per dare
un’espressione alla mia inclinazione, avrei potuto scegliere un indirizzo di
comunicazioni sociali. Anche perché allora la Cattolica era la prima delle
università italiane che aveva la scuola di giornalismo. Io invece ho scelto
tutt’altra cosa, la filologia, le biblioteche i codici medievali: tutto quello
che mi portava a un prolungamento di quella solitudine, della mia cameretta
piena di sogni, che io mi porto sempre dentro.
Domanda. Quando eri l’inviato di punta di “Chi”, hai mollato tutto per un nuovo
amore, la televisione. Ti sei trasferito a Roma per fare l’autore televisivo. Un
salto nel buio che ti è quasi costato la carriera.
Risposta. Vero, quando ho mollato “Chi” è stato lanciarsi verso un nuovo amore. Oltre
alla passione c’è stata anche un’incoscienza di fondo perché tanto normale non
sono, ma mi sta bene non esserlo. Ha ragione Marina Berlusconi quando mi dice: “Tu
sei un artista”. Io mi considero un artista, perché gli artisti hanno una
marcia in più e quella io ce l’ho, non voglio fare il finto modesto. E’ anche
vero, però, che quella marcia ti permette di viaggiare veloce, ti fa soffrire
di più. Quando ho fatto queste scelte azzardate avrei dovuto avere più la testa
sulle spalle, cosa che io non ho ancora
oggi. Avrei dovuto sedermi e pensare: “Allora, la posta in gioco è questa, quello
che perdo è questo, che cosa ho da guadagnare?”. Ecco, questo ragionamento non
l’ho mai fatto.
Domanda. Come si dice in giurisprudenza avresti agito “da buon padre di famiglia”…
Risposta. Esatto, e forse non è che io non abbia una famiglia(sorride). In questi
momenti c’è sempre un pazzia in fondo. Certo, alla fine mi è andata bene. Però c’è
stato un momento in cui è andata molto male. In televisione le cose non
funzionarono e per me le porte in Mondadori si erano chiuse. Silvana Giacobini,
il direttore che a “Chi” mi ha formato e lanciato, aveva emesso un diktat
durissimo. Non potevo nemmeno mettere piede qui dentro. Per questo adesso mi fa
ridere quando dicono di me: “Signorini in Mondadori può fare quello che vuole. E’
il direttore inamovibile”. Altro che inamovibile. Per un anno e mezzo era
vietatissimo persino parlarmi al telefono. Sono uscito da quell’esperienza con
le ossa rotte. Ecco, una cosa che mi farebbe piacere venisse fuori da questo
libro è il concetto della costruttività della fatica. Io considero il fatto di
non dover ringraziare nessuno un grande lusso. E’ chiaro, fatichi dieci volte
di più: ma la fatica è costruttiva ed è la stessa cosa che io insegnavo ai miei
allievi. La fatica dello studio, perché la vita è faticosa. E’ bellissima, ma
faticosa.
Domanda. Nel libro, come nella vita quotidiana, citi spesso la frase latina: “Ognuno
è il fabbro della sua fortuna”.
Risposta. Si perché il fabbro si fa venire
i calli alle mani pestando il ferro davanti a una fornace accesa. La sua opera,
anche la più banale è fatica, sforzo, sudore. Così è la vita, non ti regala
nulla. Ed è giusto che sia così. Giustissimo che non faccia sconti. Anzi, ti fa
pagare spesso conti molto salati. Proprio er questo a tanto lavoro, a me piacerebbe che dal libro
venisse fuori la storia di una persona che sì ha costruito, ma sotto questa
costruzione c’è tanto lavoro, tanto sudore. E qualche lacrima.
Domanda. Hai scritto che il tuo unico
rimpianto è di aver sprecato troppo tempo. Perché?
Risposta. Ho sprecato tanto tempo prezioso con persone di cui non me ne fregava
niente. L’ho buttato in cene, in serate, in vacanze e in chiacchierate
interminabili. Intendiamoci, e lo scrivo chiaramente anche nel libro, tutto sommato
è andata bene così. Se non avessi perso quel tempo, adesso non starei dove sto, non avrei costruito la
mia rete di contatti. Però, quando sei arrivato a determinati risultati, grazie
a questa grande fatica che hai fatto, ti rendi anche conto che hai lasciato per
strada tante cose che non tornano più. E come te ne rendi conto? Dalle facce
invecchiate dei tuoi genitori, dai bambini che crescono intorno a te e
diventano adulti, dalla tua stessa faccia che diventa più vecchia. A quel punto
dici no. A quel punto devi recuperare. E se ce la fai, sei un uomo fortunato. E’
a quel punto che vinci i pudori.
Domanda. Due anni fa al culmine di tutto,
la vita ti ha presentato il conto: doppio e salatissimo. Prima la mamma se n’è
andata, e con lei l’ultimo baluardo del tuo piccolo mondo antico…
Risposta. Lei da quando papà se n’è andato si è lasciata morire. E’ diventata la
mia bambina e ma la sono coccolata fino all’ultimo, fino alla fine. C’era uno
strano legame tra di noi. Speciale, come quello che mio padre aveva con mia
sorella e che io non avevo con lui. Una comunione, una totale sintonia. Che ancora
oggi continua, grazie a Dio. Il giorno in cui è mancata, io ero stato il
mattino a trovarla in ospedale. E lei stava anche benino, tanto che i medici mi
avevano detto che erano contenti perché mostrava segnali di ripresa. Prima di
andare via l’avevo coccolata e accarezzata. Lei mi aveva detto: “Amore quando
ci vediamo?” e io le avevo risposto: “Presto, domani?”. Poi io sono venuto in
redazione e ho fatto la riunione. Terminata la riunione ho avuto all’improvviso
la netta sensazione che la mamma stesse morendo. Ho fatto chiamare il mio
autista, Davide, che stava mangiando in mensa. Me l’hanno passato al telefono e
lui, per rassicurarmi, mi ha detto: “Ma dottore, siamo appena andati questa
mattina, stava meglio”. Ma io sono stato irremovibile: “Mi porti subito dalla
mamma”. E sono andato da lei. Avevo ragione: la mamma ha fatto in tempo a
stringermi la mano e a dirmi: “Dove sei, dove sei?” e poi mi ha lasciato. Quando
un rapporto così forte si interrompe ti manca tutto.
Domanda. Poi la seconda sberla: la leucemia, contro la quale hai dovuto
combattere a lungo.
Risposta. Quando la mamma se n’è andata ero già malato. Ma non volevo far vedere
la mia sofferenza. Non ne ho parlato quasi con nessuno. La malattia è qualcosa
che ti mette di fronte, di colpo, alla tua fragilità. Per fortuna non ho dovuto
fare trapianti e ho reagito bene alle cure, ma la situazione era da mettersi le
mani nei capelli e io non ne ho(ride). L’ho combattuta a modo mio, con un
pizzico di follia. Non volevo stare lontano dalla redazione perché era la mia ragione
di vita. Mi imbottivo di farmaci e andavo avanti. Ecco, quando dico che la vita è la cosa più bella del mondo
qualcuno può obiettare che poi arrivano incidenti come questi. Eppure io ho
imparato a prendere atto di quella che sembrerebbe una bestemmia: sono arrivato
a benedire il dolore. Perché comunque il dolore costruisce sempre, non annienta
mai. Lo dico senza retorica. Quando prendi delle medicine pesanti tutto sono fuorché
retorica. Sono cose vere, difficili da smaltire, difficili da conviverci. Il fatto
che la tua vita dipenda da una pastiglia è una cosa molto pesante da accettare.
Però io ho ringraziato Dio per questo incidente, primo perché comunque mi ha
dato la possibilità di vivere e poi mi ha dato il miracolo di vedere delle cose
che prima non avevo la capacità di vedere.
Domanda. Hai scoperto l’amore per te
stesso, l’unica persona alla quale lo avevi negato.
Risposta. Ho imparato a coccolarmi, ad ascoltarmi. Ho imparato a dire di no, anche
ha costo di perdere occasioni prestigiose e redditizie. Ma ho anche riscoperto
l’amore per gli altri. Il mio compagno Paolo lo amo molto più profondamente di
un tempo. Anche se non stiamo sempre insieme, se facciamo due vite
completamente diverse, perché lui ha il suo lavoro(è imprenditore e senatore) e
io ho il mio. Quello che conta è la qualità del rapporto. Come quella con mia
sorella e mia nipote. Intendiamoci non sono tutte rose. Naturalmente hai i tuoi
giorni no, quando sei inverso e non puoi spiegare perché lo sei. Sono dei
momenti critici, bisogna accettarli, però complessivamente, arrivi a dire che è
un bel vivere.
Domanda. Adesso il cerchio si è chiuso. Sei pronto a trasferire questo bagaglio
di vita a qualcun altro?
Risposta. La vita di ciascuno di noi, nessuno escluso, è esemplare, nel bene e
nel male. Se hai la fortuna di poterla raccontare e di saperla raccontare,
nelle sue luci e nelle sue ombre, perché non farlo? Certamente questo libro non
è scritto con lo spirito di chi si vuole mettere in cattedra, sia chiaro. Io non
voglio insegnare niente a nessuno anche perché sono il primo che di certezze
non ne ha. Però quelle poche certezze che ho acquisito, mi piace dividerle con
i miei lettori.
Domanda. Tu dici che non sai cosa sia esattamente l’amore. Però, dopo tante
prove e tribolazioni, incertezze e dubbi, adesso l’amore l’hai trovato.
Risposta. Si, la mia situazione sentimentale si è stabilizzata. Ripeto, ancora
adesso non ti so dire cosa sia l’amore. Da una parte per me è fiducia, è
lasciarsi andare. Questo è un amore che puoi condividere con tutti. Poi con il
mio compagno, l’amore in realtà è intimità. Paolo e io siamo due persone che si
vogliono in bene dell’anima. Io non riuscirei più a stare senza di lui e lui
non riuscirebbe più a stare senza di me. Ecco, per semplificare, l’amore è
svegliarsi al mattino e pensare: “Meno male che ci sei”. Poi Alfonso sorride. Uno
di quei sorrisi maliziosi che anticipano inevitabilmente una delle sue
stoccate. E infatti: <<Come con te, Massimo: magari non ho voglia di
ascoltarti, ma meno male che ci sei.
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