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martedì 25 novembre 2014

Dopo tanto sangue finto ora devo svenarmi io


È il mago del brivido e ha diretto
film memorabili come Profondo
rosso e Suspiria, che hanno
terrorizzato il pubblico. Ora Dario Argento
si racconta in Paura (Einaudi),
un’autobiografia emozionante, 
ricca di rivelazioni sulla sua vita di uomo e
di artista. «Ero stanco di leggere cose
inesatte sul mio conto e ho voluto
raccontare la verità», spiega. Il regista
è padre di due figlie, Fiore, nata dal
matrimonio con Marisa Casale, e Asia,
interprete di diversi suoi film, frutto
della storia d’amore con Daria Nicolodi
(«Ogni volta in cui ho saputo che
sarei diventato padre di una bambina
ho esultato e non ho mai desiderato un
maschio. Amo tanto le donne che mi
piace esserne circondato», dice). Oggi
confessa di avere un amore, ma giura
che non si risposerà mai. In fondo
la sua fedele compagna è la sua arte,
ispirata dai fantasmi della sua mente
che lo accompagnano fin da bambino.
Nel libro racconta tutto di sé, anche
una malattia che, neanche a dirlo, ha
a che fare col sangue.

INTERVISTA    
                                              
 Dario, di che cosa soffre?
«Soffro di policitemia, un’anomalia del
sangue. In pratica ho un ematocrito alto:
un disturbo che comporta
una produzione eccessiva di
globuli rossi. La stessa anomalia
che si riscontra in certi
campioni sportivi dopati. E
che nel mio organismo avviene naturalmente.
La mia malattia ha anche
un lato positivo, nel senso che mi dà
una grande energia, ma va tenuta sotto
controllo perché l’eccesso di globuli
rossi può provocare ictus e trombosi.
Già da tempo mi sono affidato alle
cure del professor Mandelli e ogni
sei mesi mi sottopongo a esami per
controllare il valore dell’ematocrito.
Se supera la soglia di guardia, sono
costretto a sottopormi a un salasso. È
una specie di legge del contrappasso:
nel corso della mia carriera ho versato
litri di sangue finto e ora, un paio di

volte all'anno, devo privarmi del mio».

Nell’autobiografia lei confessa di
aver pensato al suicidio...
«Sì. In un periodo della mia vita, anche
se avevo attorno tanta gente, mi
sentivo desolatamente solo. Era un disagio
interiore, una ferita dell’anima,
visto che la solitudine mi è sempre
piaciuta. Alla fine ero talmente infelice
che volevo chiudere gli occhi
per sempre, sprofondare in un abisso.
Questa idea mi venne la notte, nella
suite dell’hotel Flora a Roma, dove
alloggiavo provvisoriamente. All’alba
chiamai un mio amico medico e gli
raccontai ogni cosa, confessando che,
pur desiderando la morte, mai avrei
voluto lasciare le mie figlie. Lui mi
consigliò di barricarmi nella suite,
mettendo i mobili davanti alla porta
finestra per controllare i miei impulsi
distruttivi. Seguii il suo consiglio e
quando fu giorno mi ritrovai accasciato
tra l’armadio e le tende. Disperato.
Poi a un certo punto l’istinto di
sopravvivenza ebbe la meglio e da
allora mi sono liberato dal pensiero

del suicidio».

Lei ha mai fatto uso di droghe?
«Da giovane ho fumato hashish, senza
mai esserne dipendente e per un
equivoco finii pure in carcere ingiustamente,
sospettato di spaccio di
cocaina. Ho dovuto smettere di fumare
perché ogni volta che mi facevo
una canna, a causa di un problema

bronchiale, mi veniva una tosse terribile. 
Da allora la mia vita è un po’
più triste».

È mai capitato che qualcuna delle
sue donne sia stata suggestionata
dai suoi film?
«Sì. Lei era una ragazza bellissima
che incontrai durante le riprese del
film Il Cartaio. Quando le feci notare
che la nostra relazione era impossibile
per la sua età troppo giovane rispetto
alla mia, incominciò a tormentarmi
con sms macabri. Del tipo: “Per te mi
infilo un coltello nel cuore”, oppure
“Sto andando al cimitero perché mi

hai ucciso”. Ma fu un caso unico

Come vede il suo futuro?
«Finché ci sarà qualcuno da spaventare,

sarò un uomo felice».


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