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lunedì 24 novembre 2014

Italia alle stelle




C’è un punto in cui la scienza
diventa favola. Una cometa
smette di essere un corpo
celeste e diventa un messaggero. La
sua massa diventa un forziere che
racchiude i misteri dell’Universo. Le
sue componenti primordiali, blindate
nel ghiaccio, diventano lettere per
scrivere l’origine del sistema solare e
mattoni per la costruzione della vita.
La sua orbita diventa un viaggio per
trasportare acqua e sostanze organiche
e contaminare lo spazio infinito
dell’universo col germe dell’esistenza.
Sempre che non succeda il patatrac,
la cometa si innamori del Sole e come
spesso accade non finisca per cascargli
addosso e sparire. Alla periferia di
Colonia, in una base nascosta nella foresta,
si gioca una partita decisiva per
la conquista dello spazio e una donna
di 77 anni, sfinita da giorni e notti in
attesa di un segnale da un punto remoto
del sistema solare, allontana con
una smorfia un piatto di pasta fredda
condita con cetrioli crudi, per raccontare
un’incredibile epopea celeste.



E STATO COME CENTRARE
UN CORIANDOLO
 Amalia Ercoli Finzi è la veterana di
un team italiano, protagonista dell’impresa
che per la prima volta ha portato
una sonda spaziale su una cometa.
Come raggiungere un coriandolo perso
nell’universo. Operazione difficile, al
limite dell’impossibile. Al pari dell’uomo
sulla Luna, mormora qualcuno.
Quello era stato un blitz di pochi giorni.
Partita il 2 marzo 2004, la missione
della sonda europea Rosetta, è stata
un’odissea. Dieci anni ci sono voluti. E
a guidare il viaggio, attraverso i pianeti
del sistema solare sono stati due
italiani: il fisico milanese Paolo Ferri e
l’ingegnere aerospaziale Andrea Accomazzo,
di Domodossola. A 200 chilometri
dalla base di Colonia, da giorni
vivono a Darmstadt, rinchiusi nella
sede dell’Agenzia spaziale europea
(Esa). Si vestono e si comportano come
persone normali, ma hanno qualifiche
da film di fantascienza. Ferri direttore
delle missioni spaziali, Accomazzo
responsabile di volo interplanetario.
«Perché proprio due italiani di preciso
non lo so», ragiona Ferri, «forse per
la nostra la capacità di adattamento.
Magari siamo meno organizzati di altri,
ma abbiano la flessibilità per gestire
l’imprevisto».

PHILAE È GRANDE
COME UNA LAVATRICE
I due italiani al comando hanno un
motto: il contatto è tutto. «Quando
c’è», dicono, «siamo superman e niente
ci fa paura. Senza siamo disperati».
Sfruttando un impercettibile segnale
radio hanno guidato la sonda per 6,5
miliardi di chilometri
finché il 6 agosto,
a 500 milioni di chilometri
dalla Terra,
non l’hanno portata
a centrare il suo
obiettivo. Rosetta ha
raggiunto la cometa
67P/Churyumov-Gerasimenko,
è entrata
nella sua orbita, l’ha
studiata e mercoledì
scorso l’ha «colonizzata
». Ha sganciato
il Philae, un veicolo
delle dimensioni di
una lavatrice, e lo ha mandato a posarsi
sulla cometa per prelevare campioni
del sottosuolo, analizzare emissioni
gassose, registrare temperatura e
consistenza della superficie, effettuare
riprese fotografiche.«La sua batteria
ormai è scarica», dice Amalia Finzi,
nella sala operativa di Colonia, mentre
la tensione si scioglie in applausi,
urla di esultanza e botti di champagne,
«ma quello che Philae ci ha detto
nell’ultimo contatto prima di spegnersi,
ci ha fatti impazzire di gioia. Sono
stati utilizzati tutti gli strumenti. È un
successo assoluto».
A differenza di Rosetta, il veicolo non è
dell’Agenzia spaziale europea. Appartiene
a un consorzio guidato dalla Germania,
in cui l’Italia riveste un ruolo
fondamentale. L’Asi, Agenzia spaziale
Italiana, ha fornito SD2, una minuscola
trivella messa a punto tra il Politecnico
di Milano e la Selex Es. L’apparecchiatura
ha risposto ai comandi, la punta
diamantata è uscita per 56 centimetri
e dovrebbe anche aver messo a segno
l’operazione più attesa: il prelievo di un
campione del sottosuolo.
«Le comete sono sfuggite alla formazione
del Sole e dei pianeti», continua
Amalia Finzi, «per 4,5 miliardi di
anni si sono mantenute incontaminate
e un loro frammento potrebbe farci
capire tante cose sull’origine della
vita e la nascita del sistema solare».
Captate da una gigantesca parabola
a Camberra in Australia, le sequenze
criptate provenienti dallo spazio, arrivano
a Colonia a partire dalle 23.30
di venerdì 14 novembre. Buone notizie.
Dietro una vetrata due donne si
abbracciano. Sono italiane ingaggiate
dalla Dlr, l’agenzia spaziale tedesca.
Cinzia Fantinati, mantovana, direttrice
delle operazioni, è un generale. Comunica
col suo team a monosillabi, gesti
della mano, cenni del capo. Barbara
Cozzoni, di Macerata, al comando dei
vari strumenti non trattiene l’emozione:
«Tutti parlano dell’atterraggio», dice,
«ma il batticuore vero l’ho avuto due
volte, quando Philae si è staccato da
Rosetta, come un bambino che lascia
la mamma e se la deve cavare da solo e
poi questa notte. Le batterie si stanno
esaurendo ma lui continua a mandare
segnali... Tra poco finirà, ma vi prego,
non dite che Philae è morto».
Franco Bernelli, allievo di Amalia
Finzi e suo successore al Dipartimento
di ingegneria aerospaziale del Politecnico,
convoca una riunione volante
davanti al modello di Philae. Con lui
ci sono i tre ricercatori Pierluigi Dilizia,
Fabio Malnati e Francesco Tapputo,
Piergiovanni Magnani della Selex
e per l’Agenzia spaziale italiana Mario
Salatti dell’Unità di esplorazione
dell’Universo. «È vero», conferma
Bernelli, «Philae non muore.
Siamo riusciti a farlo ruotare,
i pannelli fotovoltaici,
progettati e costruiti in 
Italia, adesso sono orientati nel modo
giusto, potranno caricare la batteria e
se tutto va bene tra un mese potremmo
essere di nuovo qui per assistere al
suo risveglio».
Sono le tre di notte di sabato. Fine di
una giornata memorabile. Iniziata al
mattino nella sede dell’agenzia spaziale
europea di Darmstadt. Ad ascoltare
Andrea Accomazzo, che, come prima
cosa, sgombra il campo da un equivoco:
«Noi non siamo scienziati», spiega,
«siamo operatori che fanno funzionare
la missione. Il nostro compito è raggiungere
l’obiettivo e consegnare agli
scienziati tutti i dati di cui hanno bisogno.
Non sapevamo nulla della cometa
e la cosa più difficile è stata organizzare
la traiettoria per sfruttare l’effetto
fionda dei pianeti. In questi mesi
abbiamo imparato tanto,
conosciamo massa,
gravità, forma e orientamento
di 67P. Almeno
per un anno dovremo
mantenere Rosetta
nella sua orbita, con
continui aggiustamenti
di pochi millimetri,
perché possa lavorare
e raccogliere più materiale
possibile». Per farlo si servirà di
tanto made in Italy. Lo spettrometro 
a raggi infrarossi Virtis dell’istituto di Astrofisica e
Planetologia di Tor Vergata a Roma.
La telecamera Osiris dell’Università di
Padova che ha permesso di ricostruire
la cometa in 3D. E Giada, gioiello
dell’Università Partenope di Napoli,
che intercetta le particelle emesse dal
corpo celeste. Tra cui vapore acqueo.
«Se la composizione di atomi di idrogeno
», commenta Ferri, «è identica o
simile a quella presente sulla Terra
avremo un’indicazione molto importante
su come l’acqua è arrivata sul
nostro pianeta. Gli scienziati a cui abbiamo
trasmesso i dati lo sanno già. Ma
ce lo diranno solo tra qualche mese,
quando cominceranno le pubblicazioni
delle loro ricerche. Noi cominciamo a
ragionare sui nuovi traguardi. Ci sono
Mercurio e Giove, ma prima di tutto
vorrei raggiungere un letto per farmi
una dormita».





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